Mina contro Morata, l'analisi di Boi: non bullismo ma l'essenza dello sport
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Mina contro Morata, l’analisi di Boi: non bullismo ma l’essenza dello sport

Il duello tra Mina e Morata in Como-Cagliari ha acceso il dibattito. Secondo il giornalista Giuseppe Boi, non si è trattato di bullismo, ma di un confronto psicologico che è parte del calcio.

L’episodio che ha visto protagonisti Yerry Mina e Álvaro Morata durante la partita Como-Cagliari continua a far discutere. Sulla questione è intervenuto il giornalista de Il Tirreno, Giuseppe Boi, che attraverso un post su Instagram ha offerto una lettura controcorrente rispetto alla narrazione dominante, difendendo la condotta del difensore colombiano e analizzando la reazione dell’attaccante spagnolo.

Un duello psicologico, non una scena di bullismo

Secondo l’analisi di Boi, ciò che è accaduto sul terreno di gioco non può essere etichettato come bullismo. Al contrario, rappresenta “sport nella sua essenza”. Il calcio, sottolinea il giornalista, non è solo un insieme di tecnica e contatto fisico, ma anche un intenso “confronto psicologico con l’avversario”. La forza mentale e la determinazione sono elementi cruciali quanto le abilità con il pallone. In quest’ottica, l’atteggiamento di Mina non è quello di un bullo, ma di un difensore che ha utilizzato tutte le “armi” a sua disposizione per prevalere nel duello individuale. L’accusa di “trash talking” viene respinta, citando l’esempio dell’NBA dove tale pratica è considerata quasi un’arte.

La professionalità di Morata e la sconfitta nel duello

La reazione di Morata, che ha chiesto la sostituzione all’allenatore Fabregas, non viene interpretata da Boi come un gesto di debolezza o infantilità. Piuttosto, è vista come una presa di coscienza da parte di un professionista. L’attaccante spagnolo avrebbe capito di “aver perso il duello con un difensore che lo ha dominato dal primo all’ultimo minuto”. Inoltre, già ammonito, Morata ha agito con lucidità per evitare un secondo cartellino giallo che avrebbe lasciato la sua squadra in inferiorità numerica. Una scelta da “professionista”, dunque, che non merita l’etichetta di “bimbominkia”, così come la condotta di Mina non può essere liquidata come semplice bullismo.